Questo lungo testo di S. Bernardo sembra a noi astruso. Esso, invece, serve a spiegare – in modo plastico – il titolo strano di questo opuscolo: la deformazione che l’esperienza del nostro io opera sull’uomo. Deformazione generata dall’ignoranza della propria dignità e della conseguente presunzione e cattiveria.
La duplice ignoranza – sono gli specchi del nostro io – i quali deformano la realtà della nostra persona, della nostra vita e di tutta la realtà che ci circonda.
L’altra ignoranza, che è la superbia, ci fa pensare che la vita umana è soltanto un baraccone di specchi deformanti dal quale nessuno ci può liberare e soprattutto nessuno deve avere l’ardire di pretendere di dirci che Qualcuno è venuto per tirarci fuori. In essi, infatti, ci “vediamo” padroni di noi stessi; vogliamo “godere” la nostra libertà nel lasciarci “manipolare” dai nostri “specchi” – strumentalizzati poi dalla nostra cultura – per finire nell’angoscia.
“Accade infatti che la creatura sollevata in alto per il dono della ragione se non riconosce se stessa comincia ad aggregarsi al gregge degli esseri privi di ragione, quando, ignara della sua eccellenza, che risiede nel suo intimo, è trascinata dalla sua curiosità ad assimilarsi alle cose sensibili che stanno fuori di lei, e quindi si riduce ad essere una delle tante altre cose, perché non comprendendo affatto d’avere ricevuto più di tutte le altre.
Perciò bisogna guardarsi attentamente da questa ignoranza, in base alla quale l’opinione che abbiamo di noi risulta inferiore a ciò che noi siamo; ma bisogna guardarsi non di meno, anzi di più da quell’altra ignoranza, in base alla quale ci attribuiamo un merito maggiore del dovuto, quando, se si trova un bene entro di noi, noi pensiamo ugualmente ch’esso provenga da noi stessi.
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